Chi porta le ombre
Novembre 1950. Imbrigliata in un sottile reticolo di bruma, la val Tenebrina sorge su un altopiano della provincia bresciana punteggiato da una miriade di cascine. Un luogo incantato di verde su cui si posano pigre le case di Mugno, il centro abitato. Ogni mattina, Benito Pietra – trentenne alto ed elegante, un bel paio di baffi neri e il profumo di sapone anche nei giorni feriali – prende la sua moto Guzzi e attraversa le campagne inseguendo i ricordi di una vita che non c’è più. Un mondo di guerra e di sangue, di agguati e imboscate tra partigiani e nazisti, un mondo in cui Benito aveva un altro nome, quello con cui è passato alla leggenda, quello per cui la gente di Mugno ancora si ferma e si toglie il cappello: Comandante Olmo. Ciò che la gente del posto non sa è che per uomini come Olmo certe battaglie non finiscono mai, certi conti rimangono in sospeso per sempre. Per questo, dietro la sua vita apparentemente sonnacchiosa, fatta di ricordi di amori perduti e lavoretti da pochi spicci, c’è sempre e ancora il vecchio Comandante, che continua a fare quello che faceva in montagna durante la guerra: seguire le tracce, restare nell’ombra, colpire e scappare. Anche lui, però, ha un segreto inconfessabile che conserverà fino alla fine dei suoi giorni. O almeno crede… fin quando su un giornale locale non compare la notizia di tre suicidi: a Rovigo, Treviso e Verona. Sono tutti avvenuti in situazioni oscure – ex funzionari o gerarchi fascisti che hanno ingerito dell’olio di ricino prima di uccidersi – tanto da destare l’attenzione del tenente dei Carabinieri Enrico Carraro e del suo fedele Iannelli, che iniziano a indagare. Ciò che emerge è una storia inaspettata e imprevedibile, che rompe tutti gli schemi e ci lascia con il fiato sospeso.